domenica 22 giugno 2008

Quinto ed ultimo articolo gerolamo 2007/2008

There is a way to be good again…

Esiste un modo per tornare ad essere buoni…


Un romanzo che è ancora ai vertici delle classifiche mondiali, il libro più venduto degli ultimi anni, il best seller più letto e più amato dei nostri tempi, un libro indimenticabile, splendido, toccante, una storia tragica e di speranza…
Sono queste le varie lodi attribuite al libro “Il Cacciatore di Aquiloni” di Kalhed Hosseini, edito in Italia da Piemme e la cui trasposizione cinematografica è uscita nei cinema .
Il film è diretto da Marc Foster, già regista di pellicole apprezzate dalla critica come Neverland e Monster’s Ball.
Fedele al libro, bellissima colonna sonora, ben interpretato, commovente, coinvolgente, la versione cinematografica dona due ore di film che passano in fretta senza annoiare lo spettatore.
Ho adorato il libro, una storia tragica ma che nasconde dentro di sé un sottofondo di speranza, un libro forte, scritto in maniera scorrevole, ma un vero pugno allo stomaco per la pesantezza di certi contenuti.
E il regista non ha deluso le mie aspettative, facendomi rivivere gli stessi sentimenti provati durante la lettura del libro.
La storia inizia con Amir, afghano emigrato negli Stati Uniti che vede finalmente pubblicato il suo primo libro, riceve una telefonata da un caro amico di famiglia che lo invita a tornare in Pakistan, per poi dirigersi in Afghanistan, dove dovrà ripercorrere un passato che credeva di aver dimenticato.
Così Amir rivive la sua infanzia a Kabul, il rapporto instabile con il padre, le prese in giro dei compagni più grandi e la profonda amicizia che lo lega ad Hassan, il figlio di Alì, il servo hazara del padre.
Durante la gara invernale di aquiloni, vinta da Amir, Hassan rimane vittima di una tragedia, che cambierà per sempre il rapporto tra i due amici e finirà per dividerli per sempre.
Durante l’invasione sovietica Amir e suo padre fuggiranno negli Stati Uniti e qui si dovranno costruire una nuova vita, ma come tutti gli immigrati afghani che grazie alla loro ricchezza sono riusciti a raggiungere l’America, dovranno fare i conti con una relatà difficile, fatta di sacrifici, piccoli lavori e lontana dai lussi a cui erano abituati.
Amir si sposa con Soraya, emigrata anche lei e inizia a comporre il suo primo libro.
I due non hanno figli, muore Baba, il padre di Amir, e qualche anno dopo finalmente il protagonista riesce a pubblicare il suo primo libro.
E’ proprio a questo punto che riceve la telefonata…
A parlare, dall’altra parte della cornetta, è Rahim Khan, migliore amico e socio in affari Baba che in più occasioni si è rivelato essere anche grande amico e confidente di Amir, i due infatti sono accomunati dalla passione per la scrittura e la letteratura.
Sarà questa telefonata a far sì che Amir ritorni in Afghanistan e ripari gli errori del passato, è questo il modo che gli consente di ritornare buono.
Il film ha ricreato l’atmosfera del libro con grande semplicità, senza l’utilizzo di particolari effetti speciali o sonori, forse il regista per una necessità narrativa e di rispetto dei tempi cinematografici, a parer mio, ha un po’ troppo velocizzato la narrazione, non sottolineando alcuni passaggi del libro, che nella loro tragicità e durezza permettono però di capire meglio lo spessore psicologico dei personaggi.
Al regista Marc Foster vanno le lodi per essere riuscito a fare di un capolavoro letterario un capolavoro cinematografico.
Consiglio a tutti la visione del film, ma prima di tutto la lettura del libro che, anche se molto forte, fa apprezzare ancora di più la pellicola.

Giuseppe Visonà

Quarto articolo gerolamo 2007/2008

Grida dal tetto del mondo

Tibet.
Capitale: Lhasa, Tipo di amministrazione: Regione Autonoma, Superficie: 1.228.400 kmq, Popolazione: 2.670.000, Densità: 2,2 ab. per kmq…
Pochi dati, poche cifre per descrivere una regione millenaria.
Migliaia di anni di storia congelati in un ghiacciaio sul tetto del mondo.
Qui tutto sembra fermo, completamente isolato dal resto del pianeta, un’oasi protetta da mura di montangne, l’Himalaya che l’hanno tenuto nascosto e al sicuro dal mondo di fuori.
Un regno fatto di religione, preghiera, valori, principi, monaci e inni.
Un mondo di tradizioni, miti e leggende.
Un mondo che sembra quasi inventato, ma che in realtà esiste, o meglio è esistito.
La storia del Tibet è incerta, le sue radici si perdono qualche secolo prima di Cristo e trovano fondamenta nelle varie invasioni mongole e cinesi che conquistarono la regione e la proclamarano come regione dell’impero cinese.
Nella seconda metà del 1500 fu stabilita la linea del Dalai Lama, nel 1600 il quinto Lama (Lozang Gyatso) prese il potere e nello stesso anno la carica divenne ufficiale, grazie al riconoscimento dell’imperatore cinese.
Dal 1600 , appunto, al 1951 i Dalai Lama rappresentavano il potere politico, religioso e amministrativo dello stato tibetano.
Nel 1912 però il XIII Dalai Lama (Thubten Gyatso) dichiarò l’indipendenza dalla Cina.
In questi anni il Tibet ottenne la piena indipendenza da Pechino, ma nessuna nazione lo riconosceva come stato autonomo.
Nel 1950 gli stati occidentali erano tutti interessati alla guerra di Corea, questa fu un’ occasione d’oro per l’ esercito cinese che decise d’invadere il Tibet, 40.000 soldati dell’esercito di liberazione popolare frantumarono l’esercito tibetano uccidendo 8.000 soldati.
L’America e l’Europa Occidentale non s’interessarono alla faccenda trattandola come una questione interna cinese ( in effetti la Cina non era riconosciuta dagli stati capitalisti).
Nel 1950 il XIV Dalai Lama, sebbene non ancora maggiorenne, divenne a pieni titoli capo politico e religioso del suo stato, ma l’esercito cinese che si trovava sul territorio gli impedì di governare, così fu obbligato a firmare il famoso trattato dei 17 punti che obbligarono il Tibet ad arrendersi a Mao e alla Cina.
Nel 1955 iniziarono le prime rivolte da parte dei monaci tibetani e della popolazione locale, fin dagli inizi gli Stati Uniti vollero aiutare la rivolta tibetana e inviarono agenti CIA per “allenare” la milizia locale.
Ad ogni rivolta organizzata dal popolo, i cinesi risposero con l’impiego di un maggior numero di soldati ,ne utilizzarono migliaia e migliaia di soldati, che provocarono la morte a decine di migliaia di civili.
Il Dalai Lama fuggì nel 1959 e si recò in esilio in India dove ha dato origine allo stato autonomo del Tibet e da allora professa la pace e la non violenza, questa sua politica gli è valsa il premio Nobel per la pace nel 1989.
Gli anni della rivoluzione culturale segnarono una tragedia per la cultura tibetana, i templi furono distrutti e dissacrati, e da quel momento il Tibet diventa una regione cinese, soggetta a continui maltrattamenti.
L’interesse dell’opinione pubblica torna sui monti dell’Himalaya nei primi mesi del 2008 quando iniziano a circolare in tv e su internet immagini di tortura da parte dell’ esercito cinese sui civili tibetani.
La Cina ha smentito tutto a riguardo, ma le immagini continuano a girare e adesso gli attivisti pacifisti hanno proposto di boicottare i giochi olimpici di Pechino.
Ciò è solamente una trovata pubblicitaria per contrastare la supremazia cinese nei confronti dell’ occidente o una vera e propria rivoluzione popolare?
La risposta si può leggere solamente negli occhi del popolo tibetano che da oltre 50 anni si trova rinchiuso in uno stato che non è il proprio.

Giuseppe Visonà


domenica 15 giugno 2008

Bagatta awards 2008

Mi dispiace per Chiara... Ma è arrivato il mio momento di gloria!
Ed ecco che il signor Giuseppe Visonà è stato eletto nelle seguenti categorie:

Mister non mi faccio mai i fatti miei,
Mister Gossip,
Mister Logorroico.

Bene ora che ho potuto scriverlo se volete vedere le fasce fatemelo sapere...

sabato 14 giugno 2008

dopo un mese d'assenza (due settimane a causa del latte che dal mio bicchiere è finito sul computer...)
torno a cercare di combinare qualcosa
sperando stavolta di riuscirci...